Interview with... Messa (Sara) [ITA]
by Phil Coursed (29/11/2021)
Photo credits (da sinistra a destra):
- Mark Sade, Sara, Mistyr, Alberto
- Sara, Alberto, Mistyr, Mark Sade
- Alberto, Sara, Mistyr, Mark Sade
È un enorme piacere poter dialogare con una delle band che ritengo più interessanti e capaci nel recente panorama doom-stoner italiano e non solo. Partiamo dal nuovo singolo “Pilgrim” che anticipa di qualche mese il nuovo album “Close”. Le caratteristiche distintive del vostro sound ci sono tutte, il pezzo è molto ispirato e vario, quale la sua genesi?
Grazie mille per questi complimenti, ci fa davvero piacere che tu apprezzi la nostra proposta musicale. “Pilgrim” è un brano importante per noi, è stato uno dei primi che abbiamo scritto per “Close”. Ci ha permesso di chiarire le idee su dove ci volessimo dirigere con il nuovo lavoro. Una cosa che riteniamo centrale di “Pilgrim” è la coesistenza tra l’anima doom e l’anima mediterranea/mediorientale, per questo motivo l’abbiamo scelta come singolo. Riesce a dare un’idea all’ascoltatore sulla direzione che abbiamo intrapreso per il nuovo album.
Il video di “Pilgrim” è intimo ed allo stesso tempo spettacolare, attraverso la danza quasi sciamanica in esso rappresentata tiene incollati allo schermo, quale il suo significato?
Ciò che si può vedere nella prima parte del video è il ‘Nakh’, ovvero un ballo rituale tipico della zona al confine tra Algeria e Tunisia. È una danza in cui i capelli sono al centro dell’attenzione, ed è praticata solamente da donne. Le ripetizioni di questi movimenti portano le ballerine ad avere un temporaneo stato alterato di coscienza. Quando abbiamo scoperto questa disciplina abbiamo immediatamente pensato alle analogie che ha con l’headbanging. Il collegamento è semplice, naturale, ma allo stesso tempo inaspettato. Per il video ci siamo avvalsi dell’aiuto di Saadia Souyah, coreografa e ballerina che da anni effettua un lavoro di ricerca delle danze tradizionali. Volevamo presentare il più fedelmente possibile questa danza rituale e, in questo, Saadia e le ballerine con cui abbiamo collaborato sono state fondamentali per raggiungere il risultato prefissato.
Le caratteristiche del vostro sound sono molto particolari, oltre al doom ed allo stoner che dominavano in “Belfry” ed allo shoegaze introdotto in “Feast for water” cosa dobbiamo aspettarci nel nuovo “Close”?
L’album non è ancora uscito e non possiamo sbilanciarci troppo, però ossiamo dirvi che le influenze mediterranee e mediorientali sono ben presenti su “Close”, anche se a nostro avviso è comunque un disco metal/rock. Abbiamo sì registrato degli strumenti acustici che non sono tipicamente utilizzati nel metal, ma pensiamo di essere riusciti a fonderli bene con quello che è il nostro suono attuale. A livello concettuale, invece, “Close” è stato probabilmente la nostra risposta ai tempi particolari che stiamo attraversando. Avevamo bisogno di scappare, di andare lontano, di intraprendere un viaggio tanto con la mente quanto con lo spirito, ed è quello che speriamo di riuscire a trasmettere alle persone quando ascolteranno il disco.
La copertina di “Close” è molto intrigante e di particolare interesse, cosa vi ha portato alla sua scelta?
La copertina di “Close” è una foto scattata negli anni 30 o 40 del Novecento, che ritrae delle donne mentre interpretano la danza “Nakh”. L’abbiamo scoperta mentre facevamo ricerca per delle possibili idee visuali/concettuali per rappresentare il disco ed è stato amore a prima vista. La fotografia riusciva a trasmettere esattamente le sensazioni che volevamo lasciar trasparire dal disco. È stato naturale voler inserire, di conseguenza, il “Nakh” sul video di “Pilgrim”. Per noi è importante stabilire la presenza di un fil rouge - che unisca sia musicalmente che visivamente tutti i pezzi del nostro lavoro.
Esiste un argomento di fondo specifico che ispira i vostri testi e la vostra musica? Più in particolare ci sarà un filo conduttore tra i testi di “Close”?
Come ti dicevano prima, il fil rouge di “Close” è stato il desiderio di vagare in un’altra dimensione rispetto a quella che stavamo vivendo nel momento in cui è stato scritto. Le canzoni sono state scritte tra il 2020 e il 2021. I testi sono molto personali, come in tutti i nostri dischi precedenti. Ci piace pensare che ogni persona possa trovare il proprio significato in ciò che è scritto nei testi. Di sicuro sono un vero e proprio diario di chi li scrive, in questo caso Sara. Ci sono tante emozioni contrastanti o convergenti in “Close” e ciascuna ha assunto un valore diverso per ognuno di noi. Probabilmente il disco racchiude i testi più ‘scuri’ che abbiamo avuto finora.
Da quello che ascolto e vedo siete molto legati alla vostra terra, confermate? Se si, come la stessa vi influenza?
Sicuramente il luogo in cui si vive influisce sul modo di vedere le cose e sul modo in cui se ne fa esperienza. Nessuno di noi è cresciuto in una grande città, e tuttora abitiamo tutti quanti in paesi piccoli - nella zona Pedemontana Veneta. Sentiamo un legame con il nostro territorio, per esempio già il semplice elemento paesaggistico influenza il nostro mondo creativo, com’è inevitabile. Una parte degli strumenti di “Close” è stata registrata in una grotta che si trova nella zona degli Outside Inside Studio (Volpago del Montello, TV), dove abbiamo registrato l’album. Questo luogo, oggetto di un fenomeno di origine carsica, fa parte del complesso del Montello - ed è frequentato fin dal Paleolitico.
Il nuovo disco uscirà per la nordica “Svart Records” come vi trovate con questa blasonata etichetta che tante ottime band ha prodotto in questi ultimi anni?
Finora molto bene, per noi è un piacere poter lavorare assieme ad una label così rinomata. Alcuni dei dischi degli ultimi anni che ci sono piaciuti di più sono proprio usciti per Svart. Per esempio Climax dei Beastmilk, Poverty Metal di Henrik Palm… La lista è davvero lunga.
Immagino le vostre performance dal vivo cariche di atmosfera e suspense, selezionate attentamente gli eventi a cui partecipare in modo da preservare questa carica?
I concerti sono fondamentali per noi, in quanto sono il coronamento del lavoro fatto in studio. Ci teniamo molto ed è una dimensione a cui diamo davvero molto valore, e di conseguenza vogliamo fare le cose con una certa attenzione. Più che ‘selezionare’ diremmo piuttosto che ci informiamo sempre sul tipo di situazione che potremmo incontrare… ci piace suonare in festival più grossi tanto quanto suonare in location più intime. Viviamo comunque ogni concerto in maniera molto intensa.
Ritengo che la tua voce Sara sia un’importante caratteristiche della proposta “Messa” in particolare perché riesce ad adattarsi in modo splendido a tutte le sfumature del sound della band. Esiste un percorso da seguire per la composizione di un vostro brano oppure il tutto viene lasciato all’ispirazione del momento?
Grazie mille, questo complimento mi lusinga! La voce è la parte che solitamente arriva per ultima nella costruzione dei pezzi. Solitamente Alberto e Marco hanno un’intuizione e portano dei riff in sala prove a cui poi lavoriamo tutti insieme. Una volta che la canzone ha un po’ di forma in più pensiamo alla voce, poi passiamo all’arrangiamento e per ultimo lavoriamo alla rifinitura dei dettagli del brano. Ci sono stati dei pezzi che hanno seguito degli iter leggermente diversi ma la maggior parte delle volte va così come abbiamo descritto. Per noi è importantissimo creare la struttura della canzone tutti assieme e nella stessa stanza. In questo senso si può dire che siamo molto ‘old school’ nel modo di lavorare. Abbiamo la necessità di stare vicini fisicamente, di poter comunicare, di vivere l’esperienza ed essere sullo stesso piano. Il titolo “Close” non è stato scelto a caso.
Una mia curiosità, cerchiamo in band come la vostra qualcosa che ci possa stupire ancora e come in questo caso ci siamo riusciti benissimo. Ai Messa oggi stupisce ancora qualcosa e nel caso quale band o quale nuovo genere?
Bella domanda! Potremmo rispondere così: siamo una band che ha sempre orientato gli ascolti sui generi più svariati. Abbiamo una propensione positiva alle cose più bizzarre e fuori dagli orizzonti, rispetto al genere che suoniamo. Puoi trovarci come spettatori ad un rave come ad un concerto jazz, ad un concerto di noise sperimentale come ad una situazione più tradizionale da ‘birra in mano’. Questo è la diretta conseguenza del fatto che lo stupore non lo troviamo tanto nel genere musicale di per sé, quanto più negli avvenimenti e nei contesti che stanno attorno ad esso. Per esempio una situazione che ci ha stupito piacevolmente è stata quella del Devilstone Festival, organizzato letteralmente in mezzo ad una foresta nel nordest della Lituania. Ci abbiamo suonato nel 2019. Probabilmente è il festival più eterogeneo ma allo stesso tempo ‘credibile’ al quale abbiamo partecipato finora, la proposta musicale era davvero variegata. Abbiamo visto il concerto dei Sodom dal Main Stage, mentre sul palco a fianco, in contemporanea, suonavano gruppi Trap. Abbiamo assistito a performance di band Garage, Elettronica, D-Beat, Funk, passando per la Darkwave.. e infine Techno tutta la notte. La cosa bella è che tutto quanto aveva un equilibrio - di cui gli spettatori facevano parte. Un ricordo divertente di quei giorni è quello del tragitto verso il nostro alloggio. Ci siamo resi conto di punto in bianco che noi, Italiani che suonano Doom, stavamo condividendo quel momento con un gruppo Turco che faceva Darkwave (She Past Away, gruppo consigliatissimo per chi ama le sonorità dei primi Cure) e un driver Messicano. Tutto questo in Lituania, alle quattro del mattino.
Riassumendo, crediamo che la cosa che più ci stupisce sia il contesto, piuttosto che il genere in sè.
Con la speranza di vedervi presto on stage lascio a voi le ultime parole verso i lettori di Forge Of Steel.
Grazie mille a voi per lo spazio che ci è stato dedicato, e per il vostro supporto. Ricordiamo a chi leggerà l’intervista che “Close” uscirà l’11 Marzo 2022. A presto!